Nota: ho scritto questo articolo circa tre anni fa, in seguito ad un evento svoltosi al castello di Albiano d’Ivrea, in cui fui invitata per leggere i tarocchi.
Tra qualche giorno tornerò con le mie carte nello stesso castello.
Sembra passata una vita.
Forse è veramente così.
Il pomeriggio di sabato ci regala un tempo inclemente.
Lasciamo Torino ed il suo cielo grigio-perla, la pioggia scrosciante ed il traffico di una città non abituata agli scompensi meteorologici.
Stipati nella macchina, cinque ragazzi.
Una valigia, tre zaini, una macchina fotografica e un cavalletto, perché la professionalità pesa. Quattro panni di velluto colorato. Candele, tante. E loro, i veri protagonisti del viaggio.
I Tarocchi.
Sono loro che stasera, nella Notte delle Masche, schiuderanno i loro segreti. Loro che accoglieranno, con una simbolicità confortante, i sussurri dell’anima di centinaia di persone.
Il viaggio procede spedito, le ruote scivolano veloci sull’asfalto bagnato. Il castello vescovile di Albiano d’Ivrea ci accoglie con sorpresa, mentre risaliamo su dalle pendici di un paese minuscolo per strade tortuose dalla pendenza vertiginosa.
Il nostro arrivo suscita una certa brulicante curiosità. Il nostro aspetto, forse inquietante, sicuramente non anonimo, genera sguardi di sorpresa mista a sollievo, “Ah…sono arrivati”.
Alcune ragazze squadrano il mio trucco pesante, i miei capelli rasati. Forse si chiedono cosa ci facciamo lì, in un paesotto di muri scrostati e sorrisi diffidenti.
La cena è quasi pronta, dalla cucina uomini e donne corrono su per le scale a sistemare gli ultimi piatti. Ci tiriamo su le maniche, c’è molto da fare. Tavoli, sedie, porta-candele al loro posto. Il castello è ampio e spazioso, ma quando inizieremo a parlare, tutto si ridurrà a questo: sedie vicine, sguardi intensi e luce soffusa. Scambio d’Anime e di Vita vissuta.
Guardo il nostro gruppo e sorrido. Siamo concentrati, tesi per quell’esperienza sempre nuova e mai banale.
Una delle cameriere mi si avvicina. È vestita da masca e le si addice.
Occhi verdi come foglie di nocciolo bagnate dalla rugiada. Capelli neri della sua terra.
È tormentata e impaziente, inizia a parlare ancor prima di sedersi a fianco a me. Stendo le carte e lascio che la voce fluisca insieme all’emozione. Piano piano quelle mani piccole piccole smettono di contorcersi. Prima che se ne vada via di corsa, vedo comparire sul suo volto un accenno di determinazione.
Sorrido: se anche la serata finisse in rovina, avrò comunque fatto qualcosa di buono.
Nella sala da pranzo iniziano a entrare i partecipanti. Uno di noi gestisce le prenotazioni, per evitare che l’affollamento ai nostri tavoli si tramuti nella rivisitazione moderna dell’assalto alla Bastiglia. Cinque, dieci, venti, cinquanta.
Perdiamo il conto delle persone che si siedono al nostro tavolo con un sorriso sulle labbra e il cuore tra le mani.
Incontenibile contenuta voglia di giocare al gioco dell’Uomo
Vino, musica e candele ci accompagnano nella notte profonda.
Fa freddo, ma buon cibo e nettare rosso hanno scaldato gli animi rendendoli più inclini alla cordialità.
Dal giardino giunge odore di erba bagnata e di terra. La pietra delle mura sembra addolcirsi al colore giallo delle lampade, quasi a volersi fare più accogliente per noi.
Alcuni bambini, prima di andarsene, fanno capolino al mio tavolo sbirciando le carte. Manine cicciotte si allungano per prendere il biglietto da visita nero come la notte.
Come tutte le volte sono stanca, frastornata, felice e piena di vita vissuta.
Ripensando ai sorrisi donatimi e a quelli regalati, con le lacrime che affiorano agli occhi, mi sento molto più ricca.
Mentre ripongo con cura i miei oggetti, i musicisti attaccano una canzone irlandese.
Sembra un invito alla danza.
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Grazie di Cuore.
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