La Sfida di Lughnasad

Ultimamente non ho scritto una riga.

Ogni volta che mi avvicinavo al foglio sentivo una sensazione di vuoto profondo, quasi angoscia, all’idea di mettere nero su bianco ciò che mi passava per la testa.

Come se i pensieri volassero via e non si lasciassero imbrigliare dalle parole. 

Nel periodo dell’anno dedicato ai raccolti e alle trasformazioni, ho l’impressione di ritrovarmi con le mani piene di pietre.

Ho coltivato con passione ed entusiasmo.

Ma ho avuto fretta di far crescere le mie piantine, di vederle sviluppare.
Complice l’irruenza delle cose nuove e una buona dose di caparbietà, ho spinto il terreno ben oltre i suoi limiti fisiologici.

E ho bruciato quasi tutto.

I miei raccolti dell’anno mi lasciano un senso di vuoto.
E accettare tutto questo come fonte di esperienza non è semplice.
So di essere la causa e la conseguenza delle mie azioni.

Ma dare la colpa all’esterno, oh, sì, sarebbe molto più semplice. Una tentazione alle volte irresistibile.

Mi chiedo quante volte ci sentiamo così: padroni irosi delle nostre azioni e dei loro risultati.
Come un bambino stizzoso che dopo aver distrutto il proprio gioco, guarda male i compagni.

E forse, la vera sfida è proprio qui.
Accettare il raccolto e sapere che, per quanto la notte possa sembrare scura, domattina sorgerà comunque il sole.

 

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Grazie di Cuore.

Leggi anche: Lughnasad e Mabon, i raccolti dell’anno

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