Le cerimonie del gigante piccino

Abbiamo bisogno di cerimonie.

Viviamo in una casa bellissima, in cima a una collina, ma con la porta blindata e le tapparelle costantemente abbassate. Così che il sole, per quanto brillante, non riesce ad entrare.

All’interno della casa i muri si riempiono di muffa, i mobili invecchiano, i tessuti prendono cattivo odore.
Ma noi ci ostiniamo a mantenere le tapparelle abbassate, a vietare qualsiasi contatto con il mondo esterno.
Poveri pazzi intrappolati nelle nostre piccole, enormi paure.

Abbiamo bisogno di cerimonie per ricordarci di tirare su le tapparelle.
Per guardare all’esterno e poi, chissà, avere il coraggio di aprire la porta di casa e muovere un timido passo all’esterno.

Potrebbero volerci mesi per renderci conto di quanto siamo fortunati a vivere in una casa così bella, immersa nel verde.
Alcuni potrebbero non riuscirci mai, troppo presi dalla frenesia di una vita che rende ciechi alla bellezza.

Le cerimonie, i riti, ci ricordano di sbirciare fuori dalla finestra.

Di goderci il sole dell’alba, il vento del pomeriggio, i colori del tramonto e il profumo della notte.

E non si tratta di rituali complicati.
Il più semplice dei gesti, se fatto con consapevolezza, può diventare la cerimonia più sacra e sentita.

Questo me lo ha spiegato qualche anno fa Angaangaqq Angakkorsuaq, sciamano groenlandese, rappresentante dei Popoli per le Nazioni Unite per i popoli indigeni, durante una celebrazione della primavera e del ritorno del Fuoco.

Entrai in una stanza gremita di gente impaziente di iniziare.
Lui era lì, nella sua casacca bianca, un uomo piccino e dal sorriso enorme.
Ci mettemmo in cerchio.

Lui salutò ogni persona, presentandosi e abbracciandoci.

Come ti chiami? Da dove vieni?
Il mio nome è Angaangaqq. Significa “l’uomo che assomiglia a suo zio”. Vengo dalla Groenlandia.

Il gigante piccino mi strinse tra le sue braccia, annusandomi il collo. In Groenlandia si fa così per sentire le emozioni dell’altro: se ne annusa l’odore.

Negli interminabili secondi di quell’abbraccio, compresi il valore di ciò che stesse facendo per noi.

Dedicare del tempo a parlare con ognuno di noi, ad abbracciarci, ad annusarci, era per lui una cerimonia. Il modo migliore per trasmettere l’importanza che attribuiva a quel momento, a ogni persona che stava davanti a lui.
E nell’ora di quasi assoluta immobilità necessaria a completare il cerchio di partecipanti, ci aveva insegnato la valenza del tempo. Rendendo inutile il nostro bisogno di correre.

Quel giorno, con le lacrime agli occhi per la luce e la commozione, cominciai a sbirciare il panorama dalla finestra.

La vita é una cerimonia. Degna di essere celebrata come una cerimonia.
Angaangaqq

Per maggiori informazioni sul meraviglioso lavoro di Angaangaqq, potete visitare il suo sito:
http://www.icewisdom.com

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Grazie di Cuore.

Leggi anche: Il pensiero di qualcuno lontano

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